Le bugie degli economisti

“Un interessante studio di Frank e altri (1993) mostra che gli economisti sono, tra vari gruppi sociali, quello che ha comportamenti spermentali piu’ simili all’homo oeconomicus. Questo suggerisce che gli economisti creino la realtà che credono di descrivere come scientifica e che siano le prime vittime delle bugie che raccontano”

Stefano Bartolini, Manifesto per la felicità

 

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Pioggia e prezzi

Uno dei tradizionali modi per spiegare i limiti dell’econometria a chi si avvicina per la prima volta all’economia è quello di citare un famoso saggio del 1980 di David Hendry (Econometrics, Alchemy or Science?, Economica, 47, pp. 387-406). Confrontando i dati riguardanti la crescita dei prezzi in Gran Bretagna e quelli riguardanti la quantità cumulativa di pioggia caduta in Scozia negli ultimi decenni, si scopre che esiste una formidabile correlazione fra queste due variabili. Ma ancora più sorprendente è il fatto che se si esaminano la correlazione statistica fra la crescita dei prezzi e una variabile apparentemente più plausibile come la quantità di moneta circolante nell’economia britannica, scopriamo che essa è molto più debole. Tuttavia nessuno si sogna di spiegare la crescita dei prezzi con la quantità di pioggia, e – vicerversa – nessuno spera che l’inflazione diminuisca grazie a mutamenti climatici globali che affliggono il nostro pianeta. Eppure se ci fidassimo ciecamente dello “strumento” dovremmo fare così.

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Dieci cose sull’università italiana

1)   Fra i 27 paesi della UE, l’Italia è penultima per quanto riguarda il finanziamento pubblico all’istruzione universitaria.

2)   Nel settore strategico della ricerca & sviluppo l’Italia ha destinato nel 2007 l’1,2% del PIL, ultimo fra i paesi dell’OCSE.

3)   Le pubblicazioni dei ricercatori italiani – per quantità e qualità –  sono classificate fra le prime 10 al mondo.

4)   Negli ultimi 3 anni è aumentata sensibilmente la disoccupazione fra i laureati, sia triennali che magistrali (dal 14% al 21%). Stesso andamento per i specializzati (dal 9% al 15%).

5)   Il reddito medio di ingresso di un neo-laureato è di 1100 euro mensili, il più basso – a parità di potere d’acquisto – fra tutti i paesi dell’OCSE.

6)   La quota di laureati che provengono a loro volta da famiglie in cui è presente almeno un laureato è la più alta fra tutti i paesi dell’OCSE.

7)   Solo il 14% degli imprenditori italiani è in possesso di una laurea. Si tratta della quota più bassa fra tutti i paesi dell’OCSE.

8)   La riforma Gelmini ha abrogato definitivamente la figura del ricercatore a tempo indeterminato, sostituendolo con contratti a tempo determinato per una durata complessiva non superiore ai 6 anni.

9)   La manovra finanziaria di Tremonti ha contemporaneamente stabilito che le università potranno spendere per i contratti a tempo determinato solo il 50% di quanto spendevano nel 2009. Questo significa che il numero di ricercatori a tempo determinato sarà inferiore a 200 unità in tutta italia, verosimilmente fra 30 e 50.

10)  Il fondo di finanziamento ordinario delle università subirà un taglio di 1076 milioni di euro nel 2011, solo in parte compensato dalla legge di stabilità (800 milioni di euro), da cui vanno ulteriormente decuratati i soldi necessari per bandire i concorsi da professore associato per gli attuali ricercatori “ad esaurimento”.

(Fonti: ISTAT, AlmaLaurea, CPU, Accademia dei Lincei)

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Lo scopone di Pertini

Pertini volle giocare a scopone. Fui coinvolto, in coppia con Andreotti contro il Presidente e il suo segretario. Pertini si accaniva, ma la sua memoria era tradita dall’età. Berlinguer più che mai pensava ad altro. Ricordo che si giocava con le quattro carte a tavola e si considerava valida l’eventuale scopa finale. Andreotti, con autentico sadismo, concluse una partita facendo scopa con il settebello. Il Presidente non resse. Buttò letteralmente in aria le carte imprecando. Profferì parole di fuoco, mise pesantemente in dubbio le nostre abitudini sessuali per bollare l’anomala fortuna (ma usò una parola diversa) di cui avevamo goduto. Una vera e propria eruzione vulcanica. Andreotti rimase imperturbabile. Io avrei voluto fuggire, ma dove? Berlinguer era dispiaciuto. Poi mi prese in disparte e mi rimproverò bonariamente ma con serietà: «Non è per me – disse – ma al Presidente bisogna lasciar fare qualche punto. E’ il capo dello Stato e ci tiene».

(Massimo D’Alema, A Mosca, l’ultima volta)

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Il fattore comune

Il caso più celebre è forse quello di Massimo Calearo. Ma c’è poi tutta l’intera pattuglia dei TeoDem e pure l’ex-prefetto Achille Serra. Infine c’è la componente radicale che, immaginiamo per i soliti nobilissimi principi che li animano (dopotutto i Radicali sono, per definizione, i depositari dell’unica versione del mondo autenticamente buona e giusta), forse fornirà una stampella al governo per il 14 dicembre. Di tutto questo ricordiamoci di ringraziare quotidiamante Walter Veltroni e la vocazione maggioritaria. Degli altri.

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Fanatismo ideologico: da Milton Friedman a Pol Pot

“Due anni fa, quando il Tesoro americano consentì che Lehman fallisse io scrissi sul sito Lavoce.info: È un bel giorno per il capitalismo, perché non si possono salvare i banchieri sempre e comunque. Era un’evidente sciocchezza perché quel fallimento fu una delle cause, forse la maggiore, che ha precipitato il mondo nella Grande recessione. La signora Merkel ha evidentemente ragione quando sostiene che impegnarsi a salvare i Paesi dell’euro sempre e comunque è un pessimo segnale. Purtroppo Lehman insegna che oggi questo rigore non possiamo permettercelo: il costo potrebbe essere la fine della moneta unica”

(Francesco Giavazzi, 13 novembre 2010)

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Una sinistra errata antropologicamente

Di fronte allo scadimento della qualità democratica, e alla visibile crisi della legalità, la sinistra risponde con alcuni sentimenti caratteristici: in primo luogo la rabbia, e poi l’indignazione. Sono sentimenti comprensibili ma alla lunga inefficaci, anche perché difficilmente riescono a esplicarsi utilmente sul piano politico. Com’è stato detto e ripetuto, l’urlo, la rabbia, il furore di una sinistra profondamente emotiva derivano da una concezione di sé errata antropologicamente. Si scambia il tifo per la propria parte con la fiducia in se stessi. Ci si concepisce così come la parte buona, anzi ottima, della comunità, e quindi ci si autorizza ad esprimere dei giudizi del tutto negativi sul “familismo amorale” dell’altra parte, dall’alto di una moralità indiscutibile, e dal senso di una coscienza etica indiscussa. D’accordo, ma questa non è politica. Non porta da nessuna parte. Si ulula alla luna, si scrivono espressioni rabbiose e indignate nei blog, ma non si costruisce nulla di praticabile. Non si alimenta cioè nessuna prospettiva di governo.

(Edmondo Berselli, L’economia giusta, Einaudi)

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Profezie che non si avverano

Sembrano eccessive le reazioni alla crisi dei mercati finanziari. La crescita dei cosiddetti mutui subprime è un fenomeno fisiologico in mercati finanziari ad alta capacità di diversificazione del rischio. Stati Uniti ed Europa potranno anche registrare un raffreddamento dei tassi di crescita di consumi e produzione nel prossimo futuro, ma la dimensione del fenomeno sarà probabilmente contenuta grazie ai benefici del risk-sharing internazionale. Diversa e più importante è la questione delle ricadute sull’economia reale. Ma se dovessero esserci, la Fed saprà senz’altro anticiparle con un taglio dei tassi di interesse.

(Tommaso Monacelli, da LaVoce.info del 28 agosto 2007)

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Bamboccioni (per scelta o necessità)

Quasi la metà dei ragazzi italiani in età compresa fra i 25 e i 34 anni vive con i genitori (il 47,7%). Peggio di noi fanno solamente Malta, la Romania, la Grecia, la Slovenia e la Slovacchia. La distanza rispetto ai maggiori paesi europei è abissale: in Germania restano a casa solo 18 giovani su 100, mentre in Francia solo 13. Il confronto si fa poi davvero imbarazzante quando tiriamo in ballo la penisola scandinava: in Svezia solo il 3,9% dei giovani resta in famiglia, percentuale battuta dalla Danimarca: solo il 2,8%. Si tratta solo di fattori culturali o c’è dell’altro?

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La Cina sempre più vicina

Accoglienza di tutto rispetto quella che l’Italia ha garantito al premier cinese Wen Jiabao. E i motivi ci sono tutti. Nel decennio che ci apprestiamo a lasciare alle spalle il volume del commercio fra UE e  Cina è più che triplicato. Oggi la Cina rappresenta il secondo partner commerciale dell’UE, subito dopo gli Stati Uniti. L’Europa esporta l’8,5% dei suoi beni verso i mercati cinesi: di questi il 47% proviene dalla Germania, il 10% dalla Francia e l’8% dall’Italia. Viceversa, l’UE importa il 17,8% delle proprie merci dalla Cina. Anche qui a fare la parte del leone è la Germania con il 23%, seguita dai Paesi Bassi con il 17%, il Regno Unito con il 13% e l’Italia con il 10%.  Chissà cosa ne pensano i dirigenti leghisti, sempre pronti ad addossare alla Cina i guai del proprio blocco sociale di riferimento.

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